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SAE Alumni Stories: Silvia Di Furia

Alumna di Produzione Audio, Silvia Di Furia racconta il suo percorso formativo e professionale, dalla prima lezione di batteria fino alla recente esperienza con il bando Becoming Maestre e la scoperta dell’affinità con il sound for film.
Ciao Silvia, è un piacere ritrovarti! Come stai? Come sta andando questo periodo?
È un periodo che definirei florido perché ho la possibilità di fare più cose, di scegliere tra più opzioni: questa condizione mi permette sia di lavorare tanto, che di scegliere i lavori che poi effettivamente voglio fare, cosa che reputo positiva. 
Partiamo dall’inizio: come ti sei avvicinata alla musica e come sei arrivata al mondo dell’audio?
Mi sono avvicinata alla musica da piccola, a sette anni, un po’ per caso iniziando a prendere lezioni di batteria. Ho lasciato per un periodo, continuando da autodidatta, e poi ho ripreso seguendo un corso da producer e DJ al liceo, cosa che mi è servita particolarmente perché ho iniziato a suonare live in diversi contesti. Mossa da questo sentimento di appartenenza ai suoni, ho deciso di continuare e di intraprendere questo percorso. Ovviamente non è stato così lineare, perché ci sono stati comunque agenti esterni che mi remavano contro, il classico “se si fa musica vuol dire non fare niente nella vita e non avere mai un lavoro stabile”… in queste professioni ci si sente spesso dire queste cose.
Uno dei miei primi mentori è stato il mio insegnante del corso da producer: lui mi disse di aver frequentato SAE e mi consigliò di andare a studiare lì, dicendomi che mi sarei trovata bene. Così sono partita subito dopo il liceo, per venire a Milano: ho iniziato SAE, e da lì è partito tutto. Il primo periodo ovviamente è stato molto difficile, perché non riuscivo a comunicare con gli altri studenti, mi sentivo molto indietro e mi mancavano alcune conoscenze o alcune basi, ma, con il tempo necessario, sono andata oltre, imparando sempre di più. 
Una volta concluso il percorso in SAE, hai iniziato a lavorare esplorando diversi settori, dal live, allo studio, passando per la produzione e la post-produzione. Credi che il fatto di aver iniziato suonando, quindi con un approccio da musicista, ti abbia aiutata nel tuo percorso?
Molto, perché altrimenti non avrei il senso del tempo, del ritmo. Questo mi aiuta nella cinematografia, nella discografia, nei live: mi aiuta in tutti gli ambiti. È una cosa che mi è servita sempre. Credo sia importante conoscere la musica non in un senso strettamente matematico, ma conoscere gli strumenti, secondo me, è importante. Questo anche per il lavoro come figura tecnica, perché ti permette di dialogare con i musicisti e le altre persone del settore che lavorano con te. 
Trovi una complementarietà tra le cose che hai fatto a livello professionale?
Il fatto di lavorare con il suono è bello proprio per quello, perché puoi fare presa diretta, puoi fare post-produzione, puoi fare live etc.: c’è un panorama di possibilità che è veramente ampio, e ho fatto diverse scelte, non solo per una ricerca identitaria in realtà, ma perché mossa dalla curiosità di capire che cos’è una tale cosa. Fare più cose in questo settore non vuol dire fare cose diverse che non c’entrano niente l’una con l’altra, ma, in realtà, risultano complementari. Questo è un aspetto che all’inizio un po’ soffrivo, perché in realtà mi sembrava solo di non capire dove stessi andando. Invece non era così, perché poi ho sempre ritrovato qualcosa delle mie diverse esperienze anche in altri lavori.
Ti sembra di aver capito quali sono i ruoli che preferisci o ti senti ancora in esplorazione?
Dedicarmi ai film mi piace molto ed è una strada che voglio continuare a percorrere. Voglio continuare ovviamente anche con la discografia…  Non voglio escludere niente per adesso.
L’anno scorso sei stata selezionata per il bando Becoming Maestre, un progetto che agevola l’ingresso di professioniste donne nell’industria dell’audiovisivo, un settore nel quale il gender gap è ancora estremamente marcato e problematico. Com’è stato il tuo percorso all’interno di questo progetto? Cosa vorresti dire alle ragazze che si avvicinano all’industria creativa? 
Lavorare con tante persone, con tante ragazze e tante donne – solo nel bando siamo 24 – è un aspetto bellissimo. Per me è stata un’esperienza importante, che porterò dietro sempre. Becoming Maestre permette di costruire una rete che sia fatta anche da donne, permette di dire che c’è la possibilità di fare questa professione, che esiste. Il gender gap è ben evidente e si sente, basta guardare ai dati, ma c’è la possibilità di fare, le donne ci sono e hanno voglia di fare, di lavorare in questo ambiente. 
Quali sono stati i progetti che ti hanno lasciato di più a livello professionale?
Sicuramente collaborare ai Laboratori Testone. Un’esperienza che mi ha dato la possibilità di ascoltare, vedere e imparare tantissimo, permettendomi di avere una crescita professionale e personale importante. E Becoming Maestre perché, grazie a questa esperienza ho avuto modo di conoscere altri mentori. 
C’è una tua competenza, un’attitudine o una tua caratteristica anche caratteriale che hai trovato particolarmente utile quando sei entrata nel mondo del lavoro?
Voler imparare ed essere attenta alle esigenze altrui. Magari è banale, ma è importante osservare tutto quello che sta succedendo attorno a te, anche se non ti interessa direttamente. Io l’ho trovato fondamentale. Per esempio, se sono in studio e i musicisti stanno parlando, anche se non stanno parlando con me, magari emerge un’esigenza della quale dovrò poi occuparmi io: in questo modo avrò già l’informazione. È sicuramente un’attitudine personale che può funzionare su di me, ma può non essere così insita o utile per qualcun altro. 
Che consiglio daresti a studenti e studentesse che si approcciano a questo percorso di studi e professionale?
Appassionarsi e approfondire i propri interessi, ci sono sempre nuove cose da poter esplorare. E a me questo piace molto, perché, oltre a conoscere il lavoro, si impara a conoscere anche se stessi. È importante ampliare lo sguardo.
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