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P+ARTS, progetto finanziato dal PNRR 2024 che coinvolge 10 istituzioni italiane, indaga lo status del videogioco in Italia e ambisce a ribaltare la situazione, progettando percorsi di alta formazione nelle arti applicate e ridefinendo i criteri dell’ artistic research a livello nazionale.
Luglio 2025 – L’ambito del gaming, spesso percepito come una nicchia riservata agli esperti, è in realtà molto più vasto e accessibile di quanto si possa pensare. Secondo quanto evidenziato dal Report “I videogiochi in Italia”, stilato recentemente da IIDEA (Associazione di categoria dell’industria dei videogiochi in Italia), il mercato dei videogiochi nel nostro Paese è in salute e continua a crescere positivamente: ha ampliato il suo pubblico, perdendo quella prerogativa di genere di un tempo e si è integrato con altri media e con altre tecnologie, divenendo più immersivo e richiedendo competenze sempre più specifiche, non solo creative.
Conferma il trend anche Andrea Bonsignore, CEO e Lead Developer di Faberludum, azienda di sviluppo videogiochi e di formazione specializzata in serious games ed edutainment, che definisce così il videogioco: “È uno strumento estremamente versatile, in grado di trasformarsi completamente in base al contesto di applicazione: possiamo creare esperienze che siano interattive, sociologiche, narrative quanto di abilità, tecnica e logica. Inoltre, è uno dei pochi media creativi che intreccia in maniera così forte discipline tecniche e umanistiche: infatti chi considera il gaming un’attività prettamente legata alle prime, dimentica che ambiti come l’ arte e musica sono pilastri fondamentali per la realizzazione efficace del prodotto”.
Nel 2023, inoltre, il giro d’affari del settore ha superato i 2,3 miliardi di euro, con un trend di crescita del 5% rispetto al 2022 e del 28% rispetto al 2019, confermando l’Italia tra i primi cinque mercati europei. La domanda, dunque, è forte e stabile da parte dei consumatori: l’Italia vanta una solida base di appassionati, con 13 milioni di videogiocatori tra i 6 e i 64 anni registrati nel 2023, corrispondenti al 31% della popolazione italiana, e con un’età media di 30 anni. Tuttavia, alla crescita del mercato e alle appropriazioni delle pratiche da parte degli utenti non è corrisposto altrettanta proattività da parte dell’alta formazione, né il videogioco si è liberato di quell’aura di puro passatempo che ha caratterizzato la sua storia sin dagli esordi. Stando alle evidenze ricavate da P+ARTS (Partnership in Artistic Research, Technologies and Sustainability), progetto finanziato dal PNRR 2024, il videogioco porta ancora con sé una connotazione negativa connessa all’idea di una pratica individuale che spinge all’isolamento sociale e alla dipendenza. Ma quali sono stati gli sforzi delle accademie e delle università per promuovere percorsi e offerte formative?
Per rispondere a questo interrogativo, e tracciare i limiti dello stato dell’arte del videogame, il progetto P+ARTS ha coinvolto all’interno della sua cornice i dati della III edizione dell’Osservatorio Qualitativo sull’Industria Videoludica, avviato da SAE Institute nel 2019, che si poneva l’obiettivo di mappare l’offerta formativa in Italia comparandola al contesto europeo. Dopo aver analizzato 150 schede di percorsi rivolti al game, o “proposti” come tali, l’Osservatorio ha evidenziato come l’offerta italiana si concentri esclusivamente su percorsi di primo livello on-campus (sebbene quasi il 28% venga erogato in modalità online e blended), ibridi (ossia che combinando più competenze) e che si inseriscono all’interno di curricula universitari più canonici, erogati per lo più nelle aree del Nord, con il Sud che rimane “il grande assente”. Inoltre, quasi l’80% dell’offerta è proposta da istituzioni private, mentre solo il 23,2% da enti pubblici.
Rispetto al resto d’Europa, l’offerta formativa italiana risulta indecisa rispetto alla verticalizzazione dei programmi. Se da un lato questo potrebbe tradursi in un disallineamento rispetto al mercato del lavoro, dall’altro costituisce una scelta strategica per coprire più richieste, d’accordo con un background formativo multidisciplinare della ‘vecchia scuola’ di professionisti. In Italia, infatti, non esiste una formazione verticale in tema gaming: spesso le proposte formative sono contaminate da una moltitudine di temi e di competenze che non vengono opportunamente sviluppati. Per questo, si dovrebbe investire in uno spazio professionale del game e delle sue declinazioni sul mercato del lavoro, così da rendere possibile la creazione di percorsi verticali di settore, senza limitarsi a ritagli all’interno di percorsi già esistenti.
“Attualmente, in Italia le sfide principali nel settore videoludico riguardano l’andare oltre la cultura del ‘passatempo’, la scarsa valorizzazione da parte del governo, e la necessità di formatori altamente specializzati. Inoltre, l’evoluzione rapida della tecnologia, come l’uso delle IA, rende difficile mantenere aggiornati i corsi formativi – afferma Bonsignore – Tuttavia, le opportunità sono numerose: l’innovazione nel settore videoludico si estende ad altri ambiti, le competenze sono riconosciute a livello internazionale e potrebbero rilanciare il mercato interno, contribuendo al rinvigorimento dell’economia nazionale”, conclude l’esperto.
Costruire un’adeguata offerta formativa in ambito videoludico è possibile?
P+ARTS, a fronte delle principali evidenze emerse dalla presente analisi, ha individuato possibili direttrici e sfide per la costruzione di un’adeguata offerta formativa nel settore:
- Maggiore spinta umanistica nei percorsi formativi: un buon bilanciamento tra componente tecnico-scientifica e umanistica è fondamentale, dato che la progettazione videoludica incarna perfettamente l’ambito STEM, verso cui si tende sempre di più;
- Dialogo strutturato con il mercato del lavoro per una proposta più coerente con le esigenze del mercato. L’offerta non deve rispondere alle esigenze delle famiglie e degli studenti, ma del mercato (che ad oggi, in Italia, presenta una forte concentrazione in poche grandi realtà);
- Cambio di paradigma verso l’approccio didattico al game: è necessario smettere di considerare il videogame come un medium e iniziare a immaginarlo come un linguaggio, un contesto, un contenitore entro cui costruire.
“In qualità di Lead Developer, nella mia carriera ho visto applicare il gaming ad in ambiti totalmente inaspettati. . Nel settore dell’educazione, ad esempio, abbiamo sviluppato soluzioni che hanno permesso ai partecipanti di acquisire nozioni su topic di attualità, come la transizione energetica e la sostenibilità ambientale, con un gioco gestionale dal titolo ‘Can You Renew It?’. In egual modo, abbiamo implementato soluzioni gamificate per formare i dipendenti di un’azienda sull’utilizzo di sistemi di sicurezza per navi o aerei e ci siamo serviti di Unreal Engine per creare tour virtuali di edifici non ancora costruiti, consentendo ai clienti di camminare negli spazi e fornire un feedback immediato – racconta Andrea Bonsignore, che conclude – Con FaberLudum abbiamo avuto modo di sperimentare anche con la realtà aumentata dando vita a esperienze che immergono attivamente l’utente in ricostruzioni del passato e rafforzando, attraverso la gamification, l’apprendimento della storia attraverso delle passeggiate virtuali”